E’ passato un anno dalle prime restrizioni agli spostamenti volte a provare ad arginare il dilagare dell’epidemia. Ad oggi, lo scenario non è per niente rassicurante e i numeri del contagio, diramati giornalmente, fanno presagire la necessità di inasprire ulteriormente tali limitazioni.
Per noi, che facciamo della mobilità il nostro pane quotidiano, vuol dire prepararsi ad una stretta ulteriore difficilmente sopportabile.
Siamo ritenuti un servizio di pubblica utilità, almeno questo è ciò che ci dicono, pertanto restiamo aperti seppur con tutte le difficoltà appena ricordate e facciamo la nostra parte per preservare una parvenza di normalità, di cui tutti abbiamo un estremo bisogno, ma anche per necessità, la necessità di assicurare un servizio essenziale a chi ha esigenza di spostarsi e non può fare a meno di farlo.
Eppure, nonostante quanto fatto lo scorso anno per tenere in vita un paese messo in ginocchio dalla pandemia, la pubblica utilità tanto decantata e il relativo impegno in prima linea a contatto diretto e costante col pubblico, oggi non ci viene riconosciuta e la speranza di intravedere la luce in fondo al tunnel grazie all’arrivo dei benedetti vaccini, ci viene preclusa, vedendoci invece esclusi dalle categorie a rischio che hanno una via privilegiata di accesso alla vaccinazione.
Parliamo di circa 23 mila gestori sul territorio nazionale per un totale che supera le 100 mila unità tra titolari, dipendenti e maestranze varie, che quotidianamente offrono la propria professionalità ad una moltitudine di clienti e sono pertanto enormemente esposti al rischio di contagio.
Se è vero che non si può fermare completamente un Paese che rischia il collasso, altrettanto concrete devono essere l’impegno e la volontà di proteggere una categoria che non può rinunciare alla prossimità per assicurare la continuità del servizio.
Una tutela che il presidente di As.N.A.L.I. Alessandro Del Fiesco chiede a gran voce con la speranza di poter consentire ai gestori delle stazioni di rifornimento di esercitare in sicurezza la propria professione, grazie al riconoscimento del rischio per la categoria che rappresenta, per cui rivendica la via prioritaria alla somministrazione del vaccino, chiaramente dopo le categorie più fragili e gli anziani.