Ancora un rinvio per quanto riguarda le concessioni balneari. La prima proroga sulle (al 2015) risale al 2009 sotto il governo Berlusconi, la successiva (al 2020) è arrivata nel 2012 con Monti e l’ultima (al 2023) nel 2018, con il Conte 1. Con la legge sulla concorrenza varata nel 2022 si è deciso di far slittare di 12 mesi, a fine 2024, le procedure competitive per le quali il tavolo tecnico istituito a un anno fa, a cui siedono ministeri competenti, Regioni e associazioni di categoria, non ha ancora stabilito i “criteri tecnici” per determinare se in Italia i litorali siano “risorsa scarsa” – a cui va dunque applicata la direttiva Bolkestein – oppure esistano così tante spiagge libere che è sufficiente mettere a gara quelle.

Il governo Meloni, nel comunicato del consiglio dei ministri del 28 dicembre, ha ribadito che “è in corso una interlocuzione con la Commissione europea sui rilievi contenuti nel parere motivato” (nell’ambito della procedura di infrazione avviata nel 2020) per individuare “una soluzione che, in coerenza con l’ordinamento europeo, assicuri le necessarie certezze agli operatori economici e agli enti concedenti in merito all’affidamento dei beni demaniali marittimi”. Nel frattempo, gli enti locali vengono formalmente invitati a non assumere “iniziative disomogenee”, ovvero indire gare, che potrebbero avere ripercussioni negative sul sistema economico e sociale legato alle concessioni per finalità turistiche e ricreative”.

In realtà il Tavolo coordinato dalla capo dipartimento della presidenza del consiglio Elisa Grande un primo documento l’ha già prodotto, nel quale veniva preso in considerazione tutto il litorale a prescindere dalla sua morfologia, comprese quindi scogliere e zone montuose, concludendo che l’Italia è dotata di 426mila metri quadri di demanio marittimo di cui solo il 18% occupati, in contrasto con i dati regionali che attestano l’occupazione a quota 49%.

Il parere inviato da Bruxelles a Roma in novembre contesta tale modalità di calcolo delle aree di costa ritenendo dunque i risultati dei lavori del Tavolo tecnico non idonei a dimostrare che su tutto il territorio italiano non vi sia scarsità di risorse naturali oggetto di concessioni balneari. Per la Commissione quindi non risulta giustificabile l’imposizione di una normativa nazionale che preveda una proroga automatica applicabile a tutte le concessioni balneari in Italia, o addirittura un divieto generale di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni come in realtà avvenuto per effetto del decreto Milleproroghe convertito in legge all’inizio del 2023, che punta invece a mantenere in vigore le concessioni attuali potenzialmente per un periodo illimitato o comunque indefinito.

Come sottolineato dal commissario Ue per il mercato interno Thierry Breton, la reiterata proroga della durata delle concessioni compromette la certezza del diritto a danno di tutti gli operatori in Italia, compresi gli attuali concessionari, che non possono contare sulla validità delle concessioni esistenti. Anche il Consiglio di Stato ritiene le proroghe in contrasto con il diritto Ue anche se dovrà pronunciarsi nuovamente sull’argomento per effetto di una sentenza di Cassazione.

Nel frattempo, la richiesta del Governo ai Comuni di non adoperarsi per bandire gare, non avuto risposte unanimi. Rimini, Ravenna e altre località della riviera romagnola hanno avviato le procedure pur prorogando, nell’attesa, le concessioni attuali fino alla fine del 2024. Così come Genova e Lecce. Altri sindaci, invece, si sono limitati alla proroga: tra gli altri Sestri Levante, Santa Margherita Ligure, Viareggio, Marina di Pietrasanta, Fiumicino, Bari, Brindisi e Taranto.

Entro il 16 gennaio in ogni caso l’UE si attende che l’Italia adotti le disposizioni necessarie per conformarsi al suo parere motivato.

Ancora proroghe per le concessioni balneari
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