A partire dal 1° aprile non sono piu in vigore le procedure semplificate attivate durante il Covid per chi era affetto da alcune patologie e sarà possibile soltanto affidarsi agli accordi individuali tra azienda e lavoratori ai sensi delle regole previste dalla legge n. 81 del 2017 che tornano in vigore. Scade contestualmente la proroga dello smart working nel privato per i genitori di minori under 14, prevista dalla legge di conversione del Decreto anticipi, che ha consentito l’accesso al lavoro agile senza necessità di sottoscrivere accordi individuali e con procedure amministrative.
Oltre alla firma dell’accordo, torna la necessità di inviare le comunicazioni telematiche al Ministero utilizzando l’apposita procedura sul Portale Servizi Lavoro entro i cinque giorni successivi dall’inizio della prestazione o dall’ultimo giorno comunicato prima dell’estensione del periodo.
Il datore di lavoro che vorrà fare ricorso alla modalità flessibile dovrà firmare con ogni dipendente un accordo individuale. Nella disciplina ordinaria dello smart working, alcune categorie di lavoratori manterranno comunque una priorità ma rientrare in queste categorie, però, non prevede un automatico diritto al lavoro agile, molto dipende dal datore di lavoro e dal suo riconoscimento o meno di questa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa.
La legge 81 del 2017 che ha di fatto istituito il lavoro agile in Italia, assegna infatti, una priorità alle domande presentate da lavoratori con disabilità accertata, con figli fino a dodici anni di età oppure se assistono come caregivers soggetti fragili (bambini, coniugi o anziani). Priorità per lo smart riconosciuta dall’ultimo decreto Anziani anche agli over65, titolari di un rapporto di lavoro.
Ma queste categorie è riconosciuta una priorità, non un diritto e il datore rischia una sanzione soltanto se non le prende in considerazione nella decisione finale. Se non la fa, non può neppure richiedere la certificazione della parità di genere, l’accesso a bonus contributivi o ai bandi nazionali.
Allo stesso modo la legislazione in vigore per il privato non indica né un numero di giorni né precisa le mansioni dove applicare lo strumento. Quindi, tutto quello che riguarda l’organizzazione del lavoro viene demandata alle parti coinvolte con apposite intese, salvaguardando però le stesse condizioni di lavoro e di stipendio – oltre alla tutela prevista in caso di infortuni e malattie professionali – tra chi opera in ufficio e chi lavora da remoto.
Proprio per garantire una migliore trasparenza e gestire al meglio l’organizzazione del lavoro, molte aziende hanno stretto accordi direttamente con i sindacali di categoria, bypassando la trattativa con i singoli dipendenti. Accordi che in alcuni casi prevedono anche la possibilità per il datore di modificare la calendarizzazione dello smart in base alle esigenze produttive.
Dopo i picchi della pandemia e una graduale riduzione negli ultimi due anni, nel 2023 i lavoratori da remoto nel nostro Paese si assestano a 3,585 milioni, in leggera crescita rispetto ai 3,570 milioni del 2022, ma ben il 541% in più rispetto al pre-Covid. Nel 2024 si stima saranno 3,65 milioni gli smart worker in Italia.
Il Covid aveva comportato un utilizzo massivo dello strumento, che dall’innovazione organizzativa è migrato verso una finalità emergenziale, generando due effetti: da un lato sganciando lo smart working dalla finalità propriamente imprenditoriale, ma dall’altro ha dimostrato la sua ampia praticabilità e i suoi benefici anche sul piano sociale.