Come preannunciato nel fine settimana dalla presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le sue stime di crescita per questo e il prossimo anno, con un taglio più accentuato per i Paesi sviluppati. In occasione del World Economic Outlook, presentato nel corso del meeting annuale a Marrakech, il Fmi prevede ora che il Pil mondiale salga del 3% nel 2023 dal 3,5 del 2022, per poi frenare a +2,9% nel 2024 (la precedente stima era di +3%).
A far da zavorra alla crescita una serie di fattori: la guerra in Ucraina, la crescente frammentazione dell’economia, la stretta monetaria, il ritiro degli aiuti pubblici e gli eventi climatici estremi. Fuori dai calcoli invece, per ovvie ragioni, il recente conflitto scatenato da Hamas in Israele. In particolare, le economie avanzate rallenteranno all’1,5% nel 2023 e all’1,4% nel 2024, man mano che l’inasprimento delle politiche monetarie inizierà a farsi sentire, mentre i mercati emergenti e quelli in via di sviluppo registreranno un modesto calo della crescita al 4% sia nel 2023 sia nel 2024, dal 4,1% del 2022.
Per quanto riguarda l’Eurozona, l’Fmi vede una brusca frenata dal +3,5 messo a segno lo scorso anno. Le stime si riducono infatti dello 0,2%, allo 0,7% nel 2023 e dello 0,3% all’1,2% nel 2024. Sorvegliato speciale resta la Germania, prima economia dell’Area, per la quale è prevista una recessione quest’anno (-0,5%) e un modesto rimbalzo dello 0,9% il prossimo (lo 0,4% in meno rispetto alla stima di luglio).
Male anche l’Italia, che per gli esperti sta scontando un indebolimento del settore industriali e un calo negli investimenti dell’edilizia. Per il nostro Paese il taglio delle attese è pari allo 0,4% nel 2023 e allo 0,2% nel 2024. Il Pil dovrebbe quindi crescere solo dello 0,7% in entrambi gli anni, meno di quanto indicato dal governo nella Nadef (+0,8% e +1,2%). Per quanto riguarda invece il debito pubblico, l’Fmi calcola che raggiunga quest’anno il 143,7%, per scendere al 143,2% nel 2024 e al 140,1% nel 2028, mentre il deficit sarà pari al 5% quest’anno per poi calare al 4%.
Gli economisti sottolineano comunque come l’economia mondiale, dopo i colpi subiti, sia rallentata ma non crollata. Aumentano così, a loro parere, le probabilità di uno scenario di soft landing, anche alla luce del fatto che lotta all’inflazione avviata dalle principali banche centrali non sta causando una recessione. Tuttavia, la crescita resta diseguale e con importanti differenze geografiche. Il rallentamento più pronunciato nei Paesi sviluppati vede infatti la notevole eccezione degli Stati Uniti, che possono vantare un ritocco all’insù delle stime sul Pil a +2,1% quest’anno e +1,5% il prossimo (+0,3% e +0,5% rispetto a luglio). Brutte notizie invece per la Cina, le cui previsioni sono state tagliate a +5% nel 2023 e a +4,2% per il prossimo anno: il Paese asiatico è infatti costretto a fare i conti con i contraccolpi della crisi immobiliare e dell’indebolimento della fiducia.
L’ Fmi prevede che l’indice globale dell’inflazione diminuirà gradualmente, passando dall’8,7% dello scorso anno al 6,9% di questo e al 5,8% del prossimo. Tuttavia, le previsioni per il 2023 e il 2024 sono state ritoccate al rialzo di 0,1 e 0,6 punti percentuali e ci si aspetta che i prezzi non torneranno al target prima del 2025 nella maggior parte dei casi. Per l’Eurozona, il Fondo vede una discesa al 5,6% quest’anno e al 3,3% il prossimo, mentre negli Stati Uniti la traiettoria dovrebbe registrare un calo al 4,1% entro il 31 dicembre e un’ulteriore attenuazione al 2,8% nel 2024.
Più graduale la discesa dell’inflazione core, che non tornerà all’obiettivo delle banche centrali prima del 2025. Di qui l’ennesimo appello alle banche centrali, le cui misure di politica monetaria restano fondamentali per mantenere ancorate le aspettative d’inflazione. Con molti Paesi vicini al culmine del loro ciclo di stretta non vi è molto bisogno di ulteriori aumenti. Tuttavia, un allentamento prematuro sperpererebbe i guadagni messi a segno negli ultimi 18 mesi.