La morte di Silvio Berlusconi segna la chiusura di un’era, sia imprenditoriale che politica.
Tanto da sostenitori che da avversari, è impossibile negare, ne tantomeno sminuire, le pagine di storia scritte dal Cavaliere, emblema della seconda Repubblica il cui spirito ha incarnato fino a diventare a tratti l’uno l’immagine dell’altra.
Imprenditore, politico, filantropo, leader: da Fininvest a Mediaset, da Mediolanum a Mondadori, dal Milan dei grandi successi al Monza, nonostante tutte le vicissitudini giudiziarie che lo hanno riguardato in oltre 30 anni di “carriera”, Berlusconi ha saputo generare un flusso di 2,5 miliardi di dividendi verso le holding di famiglia, arrivando, dai 5 miliardi di lire di debiti nei primi anni ‘90 al patrimonio attuale di quasi 7 miliardi di euro.
Visionario e futurista, grazie soprattutto alla tv via cavo, ha contribuito enormemente all’americanizzazione del popolo italiano, diffondendo valori liberali che hanno garantito a più riprese la tenuta democratica del Paese, al punto da poter immaginare un’Italia ante e un’Italia post Berlusconi.
Nonostante una vita di eccessi, Berlusconi ha saputo in ogni caso essere sempre rassicurante, un po’ come il suo slogan “meno male che Silvio c’è”, carezza e litania auto motivazionale per l’italiano medio spaventato dai cambiamenti che negli ultimi 20 anni hanno iniziato a farsi repentini.
Criticato da una parte per aver immobilizzato il paese per un ventennio, allo stesso tempo lodato dall’altra per aver tenuto a bada i crescenti sovranismi, in ogni caso istrione capace di rinascere dalle proprie ceneri e reinventare ogni volta il proprio modo di fare (e far apprezzare) politica, Berlusconi incarnerà sempre lo spirito dell’uomo che “si è fatto da solo”.
Non possiamo far altro che stringerci al dolore di familiari e amici augurando a Silvio buon viaggio, ultima pagina di un capitolo che per molti anni avrà uno spazio speciale nei libri di storia.