Il 2023 è stato proclamato dall’Unione Europea “Anno europeo delle competenze” con l’obiettivo di favorire gli investimenti destinati a una formazione più efficace e inclusiva per migliorare il potenziale della forza lavoro, facilitando la mobilità tra un posto di lavoro e l’altro.
Come sostenuto la presidente, Ursula von der Leyen lo scorso ottobre, “oltre tre quarti delle imprese dell’Unione Europea incontra difficoltà nel trovare lavoratori qualificati e i dati Eurostat più recenti indicano che solo il 37% degli adulti segue con regolarità corsi di formazione”.
L’Unione Europea ha messo in campo numerosi interventi e tanti altri sono in cantiere al fine di facilitare la riqualificazione della forza lavoro continentale dopo gli sconvolgimenti della pandemia da Covid 19, il conflitto in Ucraina, la crisi climatica e quella energetica a seguito delle quali le attività occupazionali saranno sempre più dematerializzate e necessiteranno di nuovi paradigmi del lavoro.
In tal senso il Paese che più si adopera alla (ri)qualificazione dei propri lavoratori è la Svezia, seguita dalla Finlandia e dall’Olanda (dati Inapp -Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche- 2022). L’Italia, nonostante un graduale miglioramento degli ultimi tre anni, rimane sotto la soglia della media europea, posizionandosi al 15esimo posto con una percentuale del 9,9% della popolazione tra i 25 e i 64 anni che partecipa costantemente a corsi di formazione e di qualificazione professionale.
Per avvicinarsi ai valori degli altri membri UE possono rivelarsi importanti i Fondi paritetici che stanno contribuendo in maniera significativa allo sviluppo, non solo delle possibilità e dell’offerta formativa, ma soprattutto della consapevolezza che una formazione costante dei lavoratori è indispensabile sia per la competitività delle singole aziende sia della tenuta del Sistema Paese.
Nel nostro Paese attualmente si sta attraversando una condizione occupazionale contraddittoria. Da una parte, come si evince dalla “relazione sullo stato del mercato del lavoro” redatta da Anpal (Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro) in collaborazione con il ministero del Lavoro e la Banca d’Italia, il bilancio del 2022 è ampiamente positivo, grazie all’attivazione di circa 380mila posizioni lavorative che superano quelle registrate nel 2019, prima dell’emergenza sanitaria. Dall’altra tuttavia, il CNEL (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro), nella sua “relazione sul mercato del lavoro 2022” parla di oltre 4 milioni di lavoratori necessari al Paese nel quinquennio 2022/2026 considerate sia le nuove assunzioni (circa 1,4 milioni nel periodo) sia il turn-over con il rimpiazzo dei pensionamenti che peseranno sulla forza lavoro necessaria per il 70%.
Alla luce dei dati appena esposti, risulta evidente quanto sia indispensabile attivare processi virtuosi sia per gli occupati sia per gli inoccupati. Diversi gli strumenti a disposizione per attuare tali propositi, come ad esempio il progetto GOL, il Fondo Nuove Competenze, il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo di adeguamento alla globalizzazione il programma InvestEU, solo per citarne alcuni.
Politiche attive del lavoro e una formazione professionale costante devono dunque essere messe alla base del processo di crescita e professionalizzazione dell’intero Paese e della competitività dell’Unione Europea.