Il piano nazionale di ripresa da 221 miliardi arriva in consiglio dei ministri per un primo esame, poi il passaggio in Parlamento la settimana prossima prima dell’approvazione definitiva.
Oltre ai 191,5 miliardi riferibili al Recovery fund, Mario Draghi conta di metterne a disposizione altri 30 per finanziare le opere “extra Recovery”, puntando ad una crescita del PIL 3 punti percentuali nel 2026.
Il grosso del piano è definito con 135 linee di investimento, confermando la struttura in 6 missioni e 16 componenti. Per Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura sono previsti 42,55 miliardi (38,25 per nuovi progetti), per Rivoluzione verde e transizione ecologica 57 (34,6), per Infrastrutture per mobilità sostenibile 25,33 (14,13), per Istruzione e ricerca 31,88 (24,1), per Inclusione e coesione 19,12, per Salute 15,63 (12,65).
Nodo cruciale, nonché terreno di scontro in parlamento, la governance per l’attuazione delle riforme previste dal recovery Plan, che prevede una responsabilità diretta delle strutture operative coinvolte: ministeri, enti locali e territoriali.
Il Piano prevede anche monitoraggio, rendicontazione e trasparenza attribuite al Ministero dell’Economia che monitora e controlla il progresso nell’attuazione di riforme e investimenti e funge da contatto unico per le comunicazioni con la Commissione europea.
Essenziali per realizzare le sei missioni, la riforma della Giustizia e della Pubblica amministrazione. Sul fronte della giustizia, in particolare, si mira a intervenire sulla bassa efficienza che va dall’eccessiva durata dei processi al forte peso degli arretrati giudiziari.
In merito alla PA, di particolare rilievo le semplificazioni per la concessione di permessi e autorizzazioni, nonché gli interventi sul codice degli appalti.